cctm collettivo culturale tuttomondo Rābiʿa al-ʿAdawiyya (Iraq)
”Da dove sei venuta?”
“Dall’altro mondo.”
“E dove stai andando?”
“All’altro mondo”.
“E cosa fai in questo mondo?”
“Me ne prendo gioco”.
“E in che modo te ne prendi gioco?”
“Mangio del suo pane e compio l’opera dell’altro mondo”.
Rābiʿa al-ʿAdawiyya
da I detti di Rabi‘a, Adelphi, 1979
opera: Dan McCaw
Rābiʿa al-ʿAdawiyya, vissuta tra il 713 e l’801 d.C., è una delle figure più significative del Sufismo e una delle poche donne nella storia dell’Islam a essere riconosciuta come pari agli uomini.
Nata in una famiglia povera a Bassora, Rābiʿa fu venduta come schiava durante la sua infanzia, ma successivamente fu liberata dal suo padrone, che rimase colpito dalla sua intensa devozione a Dio.
Rābiʿa è conosciuta per la sua vita di ascesi, dedicandosi alla preghiera e alla povertà. Sviluppò un concetto di amore divino che enfatizzava la devozione disinteressata verso Dio, diventando così una pioniera di questo aspetto della spiritualità sufista. La sua filosofia si fondava sulla totale dedizione a Dio, rifiutando le distrazioni materiali e scegliendo di rimanere nubile, affermando che il matrimonio l’avrebbe allontanata dalla sua missione spirituale.
La sua influenza nel Sufismo è tale che viene spesso chiamata “madre del Sufismo”. La maggior parte delle sue idee e dei suoi insegnamenti sono stati trasmessi attraverso racconti e aneddoti raccolti da altri scrittori e mistici, in particolare dal poeta sufi ʿAṭṭār, che nel XIII secolo scrisse Storie e detti di Rābiʿa. Questo lavoro ha contribuito a diffondere la sua fama e a consolidare la sua immagine come una delle più grandi sante e mistiche dell’Islam.
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